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Il dramma dei bambini dotati e dei "poppanti saggi"

Aggiornamento: 1 giu 2020

Alice Miller, nel suo storico libro "Il dramma del bambino dotato e la ricerca del vero sé", si chiede se gli esseri umani potranno mai liberarsi delle proprie illusioni. Prosegue affermando che questo è possibile solo se si disposti a "rivedere" l'immagine con cui si è ri-costruita e ricordata la propria infanzia.

Esistono infatti persone che, in analisi, raccontano difensivamente e in modo idealizzato di un'infanzia felice, protetta, in cui si è stati l'orgoglio dei propri genitori, in cui si è stati lodati per il proprio talento, la propria dote sportiva, letteraria, canora ecc.

Fin dal primo colloquio queste persone fanno sapere a chi le ascolta di aver avuto genitori comprensivi, capaci di far fronte ad ogni loro sentimento o bisogno, manifesto o meno

Tuttavia ad un'analisi più attenta, lo psicologo si troverà ad avere a che fare con una persona che comunica i suoi primi ricordi senza ombra di simpatia per il bambino che un tempo è stato, senza particolari note e vibrazioni affettive.

Con l'avanzare della terapia poi la persona potrebbe ritrovarsi a fare i conti con dei ricordi e dei sentimenti - solo apparentemente inspiegabili - che la attanagliano fin da quando era piccola, da quando cioè ha compreso che conformarsi alle aspettative di chi si prende cura di lui era l'unico modo per venire a patti (a) con dei sentimenti di tristezza, "vuotezza", alienazione, assurdità della propria esistenza; (b) per poter racimolare piccoli brandelli di affetto, di sguardi, di attenzioni al prezzo però di (c) rimuovere il proprio bisogno di amore, di sintonia, di comprensione, partecipazione e rispecchiamento; (d) imparando a reprime tutte le reazioni emotive che lo muovono e (f) a tenere lontani da sé tutti i propri sentimenti.

Contro ogni apparente logica il bambino sviluppa una particolare, quanto spiccata, sensibilità per i segnali inconsci dei bisogni altrui nonché una capacità di cogliere e capire come rispondere al meglio alle richieste, alle necessita, alle carenze genitoriali. La sua capacità di adattamento viene così sviluppata e perfezionata fino a trasformarlo non solo in "madre della propria madre" ma anche nel aiutante, ad esempio, dei fratelli più piccoli. Ciò di cui gli altri hanno bisogno è ciò che gli permette di tenersi aggrappato alla vita (garantendosi l'amore materno e paterno) portandolo a credere, o meglio a illudersi (anche da adulto) che l'ammirazione equivalga all'amore e che essa sia il motore che muove, incessantemente e meccanicamente, tutta la sua vita.

E' per tali ragioni, seppur con tutte le eccezioni, che Alice Miller parla di "dramma del bambino dotato" e Sandor Ferenczi di "poppante saggio". Alla base dei processi psichici di questi bambini ci sarebbe una scissione e/o rimozione di alcune parti della personalità. Da una parte l'io fugge dalla realtà rifugiandosi nella regressione e comportandosi come se niente fosse successo. Dall'altra parte però l'io progredisce miracolosamente, attivando attitudini e capacità fino ad allora rimaste silenti e latenti.

La scissione pertanto coinvolge la parte emotiva che rimane a livelli embrionali, e la parte intellettiva, divenuta lucida e acuta.

L'adattamento ai bisogni dei genitori conduce così allo sviluppo del cosiddetto "falso sé" di cui parla Winnicott le cui attitudini mostrate dal bambino altro non sono che desideri di come i genitori vogliono che questi sia. Tale identificazione accresce narcisisticamente l'autostima dei genitori ma contemporaneamente permette al bambino di liberarsi dal senso di "vuotezza" e di poter gestire l'angoscia di non aver niente per cui essere degno d'amore, nulla per cui possa sentire di esistere: essere come gli altri vogliono è fonte di liberazione e sicuramente meno angoscioso.


Lo psicoterapeuta come può quindi proporre un supporto a questo bambino apparentemente sano ma spaurito, fragile e vulnerabile?

Sembra chiaro che l'arma vincente sia l'empatia di cui proprio Ferenczi parlò. Egli rimarca l'importanza di superare attraverso un atteggiamento autentico, spontaneo e di reale comprensione i "pericoli di sadismo latente" insiti nella situazione analitica, le cui <rigide regole tecniche producono per lo più nel paziente una sofferenza e un ingiustificato senso di superiorità nell'analista accompagnato da un certo disprezzo per il paziente> (Ferenczi, 1932, tr. it. 1988, 294). Ciò che si rende necessario è proporre un atteggiamento empatico-materno che permetta al terapeuta di avvicinarsi alle ferite del paziente con tatto recuperando una funzione analitica basata sulla "sensibilità materna" e molto diversa dall'atteggiamento "paterno interpretativo" di Freud.

Il paziente, così descritto, altro non è che un adulto rimasto bambino e per giunta spaventato motivo per cui <l'antidoto da offrire al dolore non sono soltanto le spiegazioni ma anche la tenerezza e l'amore> (Ferenczi, 1932, tr. it. 1988, 222)

 
 
 

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